LA LETTURA - LIBRI

“Giù in mezzo agli uomini” (Einaudi 2022), dedicato alla vita e alla morte dell’operaio Guido Rossa di Sergio Luzzatto

“E’ il saggio più bello di ogni nostro romanzo recente”, scrive Goffredo Fofi a proposito del recente saggio di Sergio Luzzatto “Giù in mezzo agli uomini” (Einaudi 2022), dedicato alla vita e alla morte dell’operaio Guido Rossa. Saggio, più in su del romanzo; vita e morte, non congiunte dalle ‘opere’.Ma chi era Guido Rossa? Un operaio dell’Italsider che, a Genova, nell’alba fredda del 24 gennaio 1979, veniva ucciso dalle Brigate Rosse con un colpo di pistola al cuore. Luzzatto ne traccia il percorso esistenziale di bellunese cresciuto in famiglia di immigrati a Torino e a Genova del “miracolo economico”, e di Rossa vuole raccontare la vita, i suoi 44 anni di esistenza “che non vengano ridotti ai suoi ultimi quattro mesi o, peggio, ai suoi ultimi quattro minuti, perché di un uomo intenso, complicato e sanguigno non circoli unicamente il santino politico del martire esangue”Operaio meccanico. Ecco, allora, i nonni paterni, montanari costretti dalla fame e dalla crisi economica del Ventennio a lasciare la Val Belluna dell’Alto Veneto per emigrare oltr’Alpe tra tanti italiani “sporchi, zotici, incolti” e Guido seguire, con il padre minatore “il profilo grigio e ferrigno” delle città minerarie tra Francia e Lussemburgo. Poi il ritorno, a Torino, con la separazione forzosa dalla madre, che esercita il baliatico, e l’assunzione del padre come operaio meccanico nell’azienda Chiumino dove, come dirà il padre, “è venuto su come legno storto”. Ma guerra e bombardamenti riportano presto Guido in paese, Cesiomaggiore della Val Belluna. Sarà l’autunno del 1949 quando Guido entrerà, come operaio meccanico, nella stessa fabbrica del padre. Ha 15 anni.Scalatore sestogradista. Con Dino, operaio anche lui e amico d’una vita, in pochi anni si fa autodidatta nell’alpinismo classico, “lo sport da borghesi”. Sarà, il loro, l’alpinismo dei giorni festivi: pochi soldi in tasca ma passione, slancio e orgoglio su per il Monte Bianco, le Dolomiti, le grandi montagne delle Cime di Lavaredo e della Cima Grande. Così, per sette anni, da una domenica all’altra, di record in record, con l’equipaggiamento di “monumentale e nero impermeabile da peschereccio”Paracadutista militare. Da alpinista quasi irriverente e baldanzoso che “amava dimostrare di non aver paura”, è chiamato alle armi negli alpini paracadutisti della Brigata Taurinense. ‘Paracadutista’, in un contesto parafascista ispirato all’epopea africana, con addestramenti tra Viterbo e Guidonia “città nuova del fascismo”. Ora può tornare sulle sue montagne, ma dall’alto, con voli su voli.Operaio Mirafiori Sud. Guido riprende a scalare vette, come la nordest del Cervino, e si dedica a interventi di Soccorso Alpino nel gruppo del Gran Paradiso, con la guida alpina Walter Bonatti. Intanto l’azienda Chiumino chiude (1958) e Guido entra alle Presse di Mirafiori Sud, come fresatore. La fresatrice è alta due piani e Guido scenderà soltanto per mangiare. E qui, a 26 anni, Guido si ritrova cambiato, è diventato un operaio diverso. Mentre la Fiat è unicamente tesa all’obbiettivo strategico dell’automazione, Guido entra nella dialettica sindacale che si oppone ai licenziamenti di rappresaglia e non si sottrae alla conflittualità interna ed esterna alla fabbrica.Operaio Italsider e artista. Un’Italsider contesa tra la propaganda della Chiesa (card. Siri) e il PCI, con gli operai specializzati della Fiom-Cgil a neutralizzare le infiltrazioni dei padronali ‘sindacati metalmeccanici gialli’, Guido Rossa è sempre più compagno operaio che “ha imparato che bisogna cercare anche di risolvere i problemi della gente che non può, che ha bisogno”. In più è convinto che l’operaio può produrre arte, esprimendosi nel disegno, nella la scultura, la nella fotografia. L’arte diventa la sua passione.La cima più alta. Intanto Guido sente scemare la voglia di agire e di lottare. Stretta amicizia con il notaio valdostano Ottavio Bistretta, progetta con lui una nuova affascinante impresa: il Nepal, con le sue varie vette da conquistare e sopra tutte la cima Lirung (7.246 metri). Una spedizione di dieci persone che, giunti al campo base dopo una estenuante marcia, si avventura per i vari campi di quota nonostante la tragica morte di due alpinisti. Nel lungo tragitto in terra nepalese, Guido è colpito dalla fame e dal groviglio di tensioni di quelle popolazioni e la sua macchina fotografica ne testimonia povertà e bisogni. Non di meno sarà il fascino delle spiritualità induista e buddista che lo indurranno a pensieri meno categorici e alla considerazione che, nonostante il Lirung, “un dislivello incolmabile mi separa dalla cima che perseguo da anni, e credo che non raggiugerò mai”.Tornato a Genova, proietta ai soci del CAI le diapositive del viaggio asiatico, non più come souvenir ma come gesto politico e sociale: sia nel mostrare la fame e la miseria a Nuova Delhi sia nel manifestare il desiderio di fare qualcosa di liberatorio per sé e per gli altri. Qualcosa si muove dentro di lui che, evidentemente respira il fermento culturale e spirituale di un papa Roncalli e di J.F.Kennedy, ma c’è sempre la via di fuga dell’alpinismo… Ciononostante si delinea sempre di più un Guido Rossa del futuro, diverso da quello del passato. Comincia a domandarsi se sia utile o futile conquistare vette (“i conquistatori dell’inutile!”) ed è sempre più compreso dalle questioni sindacali o politiche (i salari, i profitti). Così quando avrà l’occasione di proiettare le sue diapositive su Genova – questa volta nei suoi salotti buoni – punta a sensibilizzare l’uditorio sui problemi vecchi e nuovi di una città dispersa e violata. E non mancherà di richiamare gli amici a “l’assoluta necessità di trovare un valido interesse nell’esistenza e a non dimenticare di essere gli abitanti di un mondo colmo di soprusi e ingiustizie”. Trentacinque anni dopo scriverà ad Ottavio: “Penso che noi dobbiamo finalmente scendere giù in mezzo agli uomini a lottare con loro e che lasciamo una traccia, un segno tra gli uomini di tutti i giorni”.Iscritto al PCI nella sezione dell’Italsider di Cornegliano, vive in prima persona i due momenti di svolta del movimento operaio dopo le lotte dell’autunno caldo del ’69: lo Statuto dei lavoratori e il passaggio dalle commissioni interne ai Consigli di fabbrica, condividendo l’esigenza della classe operaia a farsi egemone. Così non si lascia coinvolgere in vaghi obiettivi rivoluzionari, abbracciando l’idea d’una politica di riforme: la scuola, la sanità, l’urbanistica, l’agraria. Sullo sfondo il compromesso storico’ di Enrico Belinguer e ‘la svolta dell’Eur’ di Luciano Lama.I primi anni Settanta, con la loro febbre antigerarchica ed egualitaria cambiano definitivamente la vita di Guido Rossa, segnata dal lavoro sindacale e dalla lotta politica. Sono anche gli anni in cui la classe operaia si pone l’ultimo obiettivo: l’emancipazione piena e completa. Guido, eletto delegato del Reparto Fiom-Cgil dell’Italsider, lotta per l’inquadramento unico nella classificazione del personale: è un delegato con gli occhi aperti, raccoglie notizie in preparazione ai Consigli di fabbrica e organizza la lotta di compagni sulla produzione industriale. E’ ben determinato: “il movimento deve essere in piedi e picchiare duro”. Ma proprio in quell’aprile del 1974, con l’operazione del sequestro a Genova del magistrato Mario Sossi, le Brigate Rosse aprono di fatto ‘gli anni di piombo’ e mostrano di puntare “all’attacco al cuore dello Stato”. E’ netta l’opposizione del PCI mentre dal canto suo la classe operaia resta spettatrice e attendista. Si affaccia, allora, la strategia della tensione ad opera dell’estrema destra: piazza della Loggia di Brescia, l’Italicus, gli attentati di Savona fino al tentato colpo di Stato neofascista. Si impone, allora, per la sinistra extraparlamentare, la necessità della lotta armata. Per i primi due anni, mentre il PCI avvia il nonitoraggio dei fiancheggiatori delle BR, Guido sembra non interessarsene e se ne torna in montagna, in nome della ricerca d’un alpinismo dal valore sociale.A metà degli anni Settanta il lavoro di contro informazione del PCI si fa capillare mentre, in una forma mafiosa di omertà, le maestranze non fanno nulla. Ma a Roma la spina dorsale della classe operaia è con Lama a manifestare contro la violenza e il terrorismo. Rossa non manca e a chi gli chiede se non ha paura di quello che sta succedendo, risponde: “Se perdessi la testa, non avrei mai fatto un passo in montagna”. E, quasi fosse un secondo mestiere, resta a lungo l’informatore ufficiale del PCI sulla penetrazione in fabbrica del terrorismo rosso, ma non è un mero vigilante, un guardiano politico in fabbrica perché “la vera posto in gioco, oggi, è la trasformazione democratica dello Stato, insidiata dal terrorismo. C’è da riempire questo spazio”. Intanto il commando BR incarica il fresatore terrorista Guagliardo di uccidere il fresatore delatore Rossa. Rossa è il solo testimone a carico dell’operaio Berardi, autore del volantinaggio BR in fabbrica. Corre pericolo e lo sa: è solo a Palazzo di Giustizia; esce solo, dopo la deposizione.Così, il 24 gennaio 1979, all’ora degli operai al lavoro, le BR uccidono Guido Rossa, colpito due volte, alle gambe e al cuore, in una strada di Oregina. Una Fiat 850, l’abitazione del sacrificio. E’ la chiusura d’una sanguinosa spirale: tre mesi dopo che un operaio comunista fa arrestare un operaio brigatista, un operaio brigatista spara all’operaio comunista. Si apre, allora, nel PCI, la discussione se le BR appartenessero o no all’album di famiglia comunista. E’ netta l’affermazione che Rossa era operaio comunista da sempre, non unico nel suo genere, non un eroe. I toni sono quelli dell’agiografia, i luoghi delle reliquie; e ai funerali i canti sono quelli di sempre, a partire da “Per i morti di Reggio Emilia”. Ma Lama, dal palco in piazza punta il dito contro la falsa coscienza dei compagni: il tradimento vero è stato quello dei compagni operai verso il compagno Rossa.Dentro e fuori le fabbriche, allora, dilaga il dilemma tra gli operai: chi aveva sparato, poteva essere un vero rivoluzionario?Dal canto loro le BR prendono coscienza del loro fallimento e sprofonda la colonna romana di Valerio Morucci e Adriana Faranda.Si afferma la coscienza che non si può essere “né con lo Stato né con le BR”: l’attacco a Guido Rossa è attacco alla classe operaia.Rossa non è né delatore né spia, è un operaio eletto dagli operai: da una parte gli operai, dall’altra parte i suoi nemici.

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