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Possibile il lavoro autonomo occasionale anche per gli iscritti agli ordini professionali

FONTE Dott. Salvo Carollo Fisco e tasse

Secondo la Cassazione l’iscrizione all’albo professionale, da sola, non costituisce elemento sufficiente per dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale

L’espletamento di una attività professionale costituisce una prestazione di lavoro autonomo. Il lavoro autonomo propriamente detto presuppone l’esercizio abituale di una attività professionale. Solo quando la prestazione professionale è espletata occasionalmente questa potrà essere ricondotta al lavoro autonomo occasionale.

Le due tipologie di lavoro autonomo, quello abituale e quello occasionale, che si qualificano in funzione del requisito dell’abitualità, sono soggetti a un diverso trattamento previdenziale con differenziati obblighi fiscali.

L’elemento che permette al contribuente di valutare la correttezza del trattamento è semplicemente l’abitualità dell’attività svolta.

Considerando che il requisito richiesto non si risolve nell’entità monetaria della prestazione (o del totale delle prestazioni annue), ma andrebbe considerato in funzione delle più diverse e generali caratteristiche dell’attività espletata, è facile immaginare quanto sia semplice finire in una delle numerose zone d’ombra presenti sulla linea di confine tra i due inquadramenti, specialmente per i professionisti iscritti ad un albo professionale.

Proprio riguardo questi soggetti, lo scorso 15 luglio 2020, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 41\E, con la quale l’ente traccia una ben delineata linea di separazione: nel caso in cui il professionista sia iscritto ad un albo professionale, dimostrando questo fatto la sua volontà di svolgere quella pluralità di atti che caratterizza l’abitualità di una professione organizzata, questi dovrà dichiarare redditi di lavoro autonomo abituale per le prestazioni professionali espletate, e soggiacere ai conseguenti obblighi fiscali e previdenziali. Di questo argomento si è parlato approfonditamente nello speciale Lavoro autonomo occasionale precluso per gli iscritti agli ordini professionali.

L’interpretazione dell’agenzia, che accetta l’espletamento di prestazioni di lavoro autonomo occasionale solo per attività estranee alla professione ordinistica, è restrittiva, ma non si può dire che sia basata su considerazioni prive di razionalità.

In ogni caso, di ben diverso avviso è la sentenza numero 10267 del 19 aprile 2021, con la quale la Corte di Cassazione, sezione civile, apre le porte alla possibilità, anche per i professionisti iscritti ad un albo professionale, di espletare prestazioni di lavoro occasionale, costituendo il giudice di legittimità una fonte del diritto ben superiore alla prassi.

La sentenza ci dice che il requisito dell’abitualità deve essere accertato in base all’evidenza “nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista”, non rappresentando il reddito prodotto un elemento funzionalmente adatto ad accertare il requisito.

La stessa ci dice anche che l’abitualità dell’attività, in sede di contestazione, deve essere provata da chi la contesta (nella fattispecie dall’INPS, essendo un contenzioso di natura previdenziale), e, di conseguenza, non sarà il professionista a dover dimostrare l’occasionalità.

Ma ci dice pure, e specialmente, che “a fronte di tale accertamento, la mera iscrizione all’albo o la titolarità di partita IVA non sono elementi sufficienti a dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale”.

Le conclusioni della sentenza sono sorprendenti. Se, da un lato, la corte stabilisce che la mera iscrizione ad un albo, da sola, non è sufficiente a dimostrare l’abitualità dell’attività esercitata; e ciò rappresenta l’interpretazione di qualcosa che è interpretabile, di cui si prende atto, e che apre le porte alla possibilità, anche per i professionisti iscritti ad un albo, di espletare prestazioni di lavoro occasionale; d’altro canto, però, la corte sostiene pure che neanche “la titolarità di partita IVA”, da sola, rappresenti un requisito sufficiente: e questo, bisogna ammettere, lascia ampio spazio alla perplessità, perché, ci si chiede, come fa a non essere dimostrativo della “scelta ex ante del libero professionista” di svolgere l’attività in maniera abituale, il fatto che questi abbia trasmesso la dichiarazione di inizio attività ai fini IVA all’Agenzia delle Entrate (alla cui trasmissione consegue l’attribuzione della partita IVA)? Ancor più considerando che, nel caso esaminato dalla sentenza in discussione, il professionista risultava e iscritto ad un albo e titolare di posizione IVA.

Allo stato delle cose, oggi, se un professionista iscritto ad un ordine professionale possa effettuare prestazioni di lavoro autonomo occasionale, all’interno del perimetro delle attività professionali, o meno, si configura come una questione non risolta, stritolata tra una ben salda risoluzione dell’Agenzia delle Entrate e una sentenza della Corte di Cassazione in qualche punto, invece, un po’ traballante. Con ogni probabilità, per l’individuazione di una linea definitiva, sarà necessario aspettare il consolidamento della giurisprudenza sul tema.

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