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“Dov’è l’Umanità?” – Appello per la fine della violenza e per la giustizia a Gaza


Quando la violenza armata diventa devastazione di città, scuole, ospedali,
abitazioni; quando stermina famiglie, uccide donne, anziani e bambini, affama
intere popolazioni e distrugge le basi stesse della dignità umana… allora non
possiamo più chiamarla guerra. Questo è genocidio. È crimine contro l’umanità.
Abbiamo chiamato genocidio le atrocità del nazifascismo contro gli ebrei. Oggi non
possiamo avere timore di denunciare con lo stesso nome ciò che accade al popolo
palestinese. Anche l’orribile attacco terroristico del 7 ottobre da parte di Hamas non
giustifica lo sterminio sistematico di una popolazione intera, la cancellazione della
sua memoria, della sua terra, della sua speranza.
Il Sionismo politico non è Ebraismo. Così come il Cristianesimo non può essere
ridotto alle Crociate. Le religioni, se sono autentiche, non giustificano apartheid,
colonialismo e sopraffazione. Il Dio biblico chiama alla libertà e alla giustizia, non
al dominio e alla violenza.
Oggi Gaza è un inferno a cielo aperto. In quella striscia di terra ci sono madri che
la mattina intrecciano i capelli delle loro figlie, senza sapere se la sera potranno
ancora accarezzarle. I bambini crescono tra macerie, fame e bombardamenti.
Hanno smesso di sognare. Alcuni hanno smesso persino di voler vivere.
Interi quartieri sono stati rasi al suolo. I campi profughi in Cisgiordania vengono
demoliti uno dopo l’altro. I camion con aiuti umanitari vengono bloccati. Il cibo,
usato come arma. L’acqua potabile è un’utopia. Si muore per la fame, per le
malattie, per i missili. Si muore di abbandono.
E il mondo tace.
Dov’è l’umanità? Non chiediamo dov’è Dio. Dio è tra i piccoli che gridano dalla fame,
tra chi soffre e muore. La vera domanda è: dov’è l’uomo?
È nel silenzio colpevole dei governi, è nell’inerzia delle istituzioni internazionali, è
nel cinismo delle potenze democratiche, che parlano di pace ma permettono che
venga calpestata ogni legge del diritto umanitario. Abbiamo davanti un bivio:
scegliere l’indifferenza, o rispondere alla chiamata della coscienza. Perché la
giustizia è indivisibile: se la neghiamo a uno, la tradiamo per tutti.
Israele, da tempo, ha abbandonato la via della convivenza. La sua apparente
democrazia si è trasformata in “democratura” (una formale democrazia ma di fatto
una dittatura), in cui il diritto è piegato alla legge del più forte. È in atto un’apartheid
sistemica, una volontà di annientamento dell’altro. Eppure, chi ha conosciuto la
Shoah, chi ha vissuto l’orrore dell’esclusione e della morte, avrebbe dovuto essere
il primo a custodire l’umanità, non a rinnegarla.
Oggi, mentre la Striscia di Gaza brucia, non è il tempo delle analisi geopolitiche,
delle accuse reciproche, delle dichiarazioni vuote. È il tempo di fermare il
massacro. Di affermare che non può esserci sicurezza fondata sulla distruzione
dell’altro. Che ogni bambino ucciso è una sconfitta per l’intera umanità.
Più di 50.000 civili morti, centinaia di giornalisti, operatori umanitari, medici
assassinati. Questa non è autodifesa. Questa è crudeltà. È una ferita aperta nel
cuore dell’umanità.
Noi, uomini e donne di pace, non vogliamo più tacere. Vogliamo giustizia per i
palestinesi e sicurezza per tutti i popoli, ma senza che uno debba essere sacrificato
per l’altro. Chiediamo ai governanti italiani, europei, mondiali: usate tutte le armi
della pace che avete. Non domani. Ora.
Se anche la solidarietà viene ostacolata, se anche la verità viene mistificata, se anche
i valori vengono travolti dalla forza, allora toccherà alle coscienze – le nostre,
individuali e collettive – diventare sentinelle della speranza, della giustizia,
dell’umanità.
In nome di chi non ha più voce, gridiamo: basta. Basta morti innocenti. Basta
fame come arma. Basta con la distruzione dei sogni. Basta per ogni guerra del
modo.
Fermiamo questo orrore, prima che sia troppo tardi.
Ogni parola taciuta, ogni sguardo voltato altrove, ogni gesto mancato, rischia di
diventare complicità. In tempi di oscurità, la neutralità non è imparzialità: è resa.
Sta a noi scegliere se rimanere spettatori o diventare testimoni. Se lasciare che il
silenzio continui a coprire le grida, o se alzare la voce per chi non può farlo. Che il
nostro silenzio non sia complice, ma grido. Che la nostra coscienza non sia tarda,
ma vigile. Che la nostra umanità non si nasconda, ma si alzi in piedi.

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