AVEZZANO NOTIZIE

Un PRIMO MAGGIO con antiche e nuove esigenze

foto di Augusto Di Bastiano – la comunicazione era all’interno di una attività commerciale di Avezzano,

SI PRENDA ESEMPIO

di Gino Milano

1° MAGGIO, titolato alla pace, al lavoro, ai diritti. Torna, ogni volta, carica di attesa la “Festa dei lavoratori”, una data scelta in onore delle vittime di una bomba fatta scoppiare durante il comizio sindacale allo Haymarket Square di Chigago il 1° maggio 1866.

E ancora una volta risuonano pesanti le parole che accompagnano il mondo del lavoro (e della non-occupazione lavorativa): precarietà, insicurezza, bassi salari, insoddisfazione diffusa, formazione assai modesta, scarsi investimenti e scarsa innovazione, accentuata competizione tra le persone e le imprese, disattenzione verso le pari opportunità … Un lavoro che, con i suoi processi, sembra piuttosto allontanare la libertà economica dalle libertà civili, sociali e politiche.

Giulio Guarini, economista dell’Università della Tuscia, sottolinea come “il sistema produttivo è sempre più governato da una finanza globalizzata e speculativa che esige guadagni immediati e detta alle imprese strategie di breve termine orientate a una competizione verso il basso, incentrate sulla riduzione del costo del lavoro e sempre meno sugli investimenti nella qualità e nella valorizzazione del capitale umano”.

Viviamo in una dimensione molto diversa da quella di appena qualche decennio fa, quando il lavoro era precipuamente l’opera dell’umano, il suo agire storico, politico, economico, sociale. Era ciò che – in modo non ideologico né mitico, ma concreto e reale – correlava l’umanità con l’ambiente, con la natura, addirittura con un Dio il cui agire è stato descritto come un “lavoro”: come di un architetto che  fa il cielo e la terra, plasma l’uomo e tutti gli esseri viventi con un’attività da artigiano, simile a quella di un vasaio, e si comporta come un agricoltore che pianta un giardino. Le prime pagine della Bibbia (che i cristiani chiamano “santa Scrittura”, perché contiene la “Parola di Dio”, fonte della fede ebraico-cristiana, ma anche di quella islamica) raccontano come tutto ciò che viene all’esistenza sia frutto dell’attività personale di Dio: è voluto da lui, è da lui lavorato. Nel quadro narrativo, in cui certamente la descrizione antropomorfica di Dio è massima (e risulta a noi molto naif) il messaggio teologico che vi soggiace è straordinario: Dio ha lavorato, e ha lavorato su un caos in cui il lavoro non esisteva. Mi permetto di rilevare come noi sappiamo nulla dell’essenza di Dio, ma di lui percepiamo alcune operazioni che ce lo rivelano: Dio che esiste in quanto crea, lavora. La sua epifania avviene innanzitutto nel Dio che fece e che lavorò. Nessuno ha mai visto Dio, ma nella fede tutti hanno potuto e possono percepire la rivelazione di un Dio che lavorò, che lavora e che lavorerà nella storia del mondo. Ed è interessante soffermarsi sul “come” egli lavora in quei sei giorni prima del riposo, il settimo giorno: Dio lavora quale “signore” sulle cose e con un comportamento dettato dalla “sapienza”, cioè un progetto, un calcolo, un piano, un’abilità conoscitiva. La Sapienza precede il lavoro e lo ingloba: progettare e fare, calcolare e lavorare sono un tutt’uno. La nozione di creazione è legata alla nozione di lavoro, e tutto avviene con sapienza.

Lo spirito occidentale (la porzione di mondo sul quale abitiamo) seppe riprendere l’indole di quell’equilibrio e delineare il suo orizzonte programmatico come costruzione di una specifica umanizzazione, riassunta nel motto di san Benedetto “ora et labora”, che si caratterizzò per una disarmante semplicità capace di attirare e animare la totalità della persona, come individuo e quale appartenente ad una comunità nella quale sentirsi concretamente introdotto.

L’endiadi di “preghiera” (opus Dei) e “lavoro” (opus manuum) crea il forte rapporto tra le istanze più avvertite dalle inquietudini e dagli interrogativi personali; allo stesso tempo ha una valenza altrettanto forte per la costituzione di un gruppo che ricerchi comunitariamente un’identità e uno stile di vita, uno sviluppo socio-progressivo, un tessuto relazionale e creativo per il singolo e per la collettività nella quale si è inseriti.

La post-modernità ha spezzato e alterato quella relazione! Si pensi soltanto al rapporto tra tempi di lavoro e tempo del riposo, oggi per lo più vissuto nella solitudine o nell’evasione dall’ambiente di vita, difficilmente capace di dare significato a un’esistenza che si scopre investita di libertà, di emozioni, di scoperta della bellezza, della cura dell’altro, della composizione delle differenze, dell’amore ….

A qualcuno sembreranno sciocche fantasticherie su un mondo immaginario e falso. Vorrebbero, tuttavia,  richiamare sostanzialmente un orizzonte in cui può nascere e crescere un’alternativa all’uomo semplicemente “technologicus” (che ha preso il posto dell’”homo faber”) irretito da un’immanenza soffocante, disumanizzante, e oramai posto di fronte all’ultima frontiera in cui nulla sarà come prima: lo spazio della téchne (la tecnologia che domina le cose e il tempo) e il passaggio epocale dell’Intelligenza Artificiale, con le sue applicazioni infinite, le opportunità e la possibilità di avere a che fare con sistemi in grado di risolvere problemi, efficientare il lavoro, offrire soluzioni rapide, al di là dell’umano.

Entro il 2030 ci saranno trasformazioni enormi. Dobbiamo prepararci ora e accompagnare questo processo con regole solide, condivise, democraticamente sostenibili.

Dietro questo “nuovo mondo” ci sono tanti rischi… anche quello della riduzione di molti posti di lavoro. Certamente sarà un cambio di paradigma lavorativo, di perdita differenziata di mestieri e professioni,  con  nuovi attori  e  autori  della  storia  dei  prossimi  anni,  nei  quali       ri-declinare i diritti, la pace, il lavoro, i temi sensibili di questo 2024.

Buon 1° Maggio.

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