Maestro,dove abiti

don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 18 Settembre 2022

Con questa premessa che la liturgia ci dona, anche il testo del vangelo che può apparire “strano”, si fa chiaro.  v. 1-: «Diceva anche ai discepoli: “Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di  sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione,  perché non potrai più amministrare».

Il brano segue il capitolo XV del Vangelo di Luca (parabole della misericordia) che abbiamo ascoltato domenica  scorsa, e continua con uno stile parabolico. Se andiamo al versetto 14 che la liturgia non presenta oggi, noteremo  che il contesto è lo stesso di domenica scorsa: “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste  cose e si beffavano di lui” (Lc 16,14). Capiamo quindi che il tema odierno è continuazione del tema di domenica  scorsa.  

3-7: «L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanatodall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padronee disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tuaricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di  grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.

L’amministratore comincia a pensare al suo avvenire, cercando di trovare qualunque stratagemma che gli per metta di guardare con serenità al suo futuro. Se teniamo presenti le parabole di domenica scorsa e il tema della  prima lettura odierna, allora diventa più comprensibile il testo. Domenica avevamo incontrato la difficoltà di un  pastore che non trovava la pecora; quella di una donna che non trovava una moneta; quella di un figlio in difficoltà  perché lontano da casa. Oggi vediamo la difficoltà di un amministratore disonesto che, scoperto dal suo padrone, si ritrova senza un lavoro. Domenica il figlio minore e oggi l’amministratore disonesto “rientrano in loro stessi”. Lo  fanno una volta che toccano il fondo. Ebbene, questo amministratore reagisce prima con lucidità, riconoscendo i  propri limiti: “Zappare non ne ho forza; mendicare mi vergogno…” (v.3). E poi agisce con astuzia, derubando il padrone.  

8-13: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questomondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con laricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, èdisonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affideràquella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno edisprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”»

A prima vista ci si potrebbe domandare come mai il padrone lodi la scaltrezza di questo amministratore che salda  i debiti sottraendoli alla sua stessa cassa. Ma se teniamo presente l’orizzonte delle parabole della misericordia di  domenica e l’odierna prima lettura, la ricchezza del padrone non è tanto il “denaro”, quanto il tanto amore con il quale ci ha amati. È la misericordia la ricchezza di Dio. E il padrone – Dio – dà all’amministratore anche il “tempo  necessario” per sistemare le cose: c’è sempre tempo per rimettersi in ordine, ritrovare la via. Ciò che conta è non  restare bloccati o prigionieri del proprio debito di carità-misericordia verso gli altri. L’amministratore capisce che  la vera ricchezza non sono i beni, ma le relazioni, l’amicizia, la fratellanza. Quello che fa alla fine è liberare gli amici  dall’oppressione dei debiti, dal sentirsi in colpa. Se ripensiamo alla parabola di domenica scorsa, ciò che conta è il  tornare a casa, è il sentirsi nuovamente figli amati e fratelli tutti. E infatti Gesù conclude dicendo che ciò che va  servito è Dio, non la ricchezza. La ricchezza è a servizio delle cose di Dio e ci si può servire di Dio per fare ricchezza!  Anche se questa “tendenza/tentazione” è sempre accovacciata nel cuore umano (cfr Gn 4,7), ciò che dà la vera vita  non è la ricchezza, ma Dio. 

Se ripensiamo alla nostra vita, la fame del nostro cuore è spesso saziata da ricchezza, carrierismo, egoismo… ma  alla fine ci accorgiamo che tutto questo ci allontana dagli altri, dagli amici… e restiamo soli. Sfumature che ci aiutano a capire che la ricchezza alla quale fa riferimento il Signore non è solo o non è tanto il denaro, ma prima di  tutto è il bene sommo che è la vita, della quale un giorno dovremmo renderne conto a chi ce l’ha donata, a Dio. Ci  sarà chiesto conto se abbiamo vissuto camminando accanto agli altri, se abbiamo soccorso chi era nel bisogno, se  abbiamo accolto chi ha bussato alla nostra porta (cfr Mt 25). Se ci siamo fatti buoni samaritani (cfr Lc 10); se abbiamo  usato saggiamente i talenti ricevuti o se li abbiamo nascosti per timore (cfr Mt 25,14ss); se ci siamo fatti cirenei (cfr Lc  23,26ss)… Alla fin fine ci verrà richiesto se abbiamo usato la ricchezza della nostra vita solo per arricchirci o se l’abbiamo usata per rendere felici chi avevamo accanto, a cominciare dai poveri e ultimi, anche perché saranno questi  ad accoglierci nel regno dei cieli. Una riflessione possibile solo nella misura in cui impariamo a tenere fisso lo  sguardo alla Meta ultima, la sola che può aiutarci a cambiare prospettiva di vita: “Questo è il momento favorevole  della salvezza” (cfr 2Cor 6,2), perché “Dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (cfr Lc 12,34). 

Forse ci domandiamo da dove giunge a noi il “richiamo” del padrone: certamente dalla sua Parola ma anche dagli  eventi della vita che portano allo scoperto le nostre fragilità e incoerenze. Esperienze che ci aiutano a far emergere  la stessa domanda dell’amministratore disonesto: “Cosa faccio ora?”.  

Non si tratta di mettere la testa sotto il cuscino o di scappare dalle nostre responsabilità. Il Signore, come abbiamo  visto nel vangelo, dona anche a noi il tempo per convertirci, per recuperare nell’amore, per farci amici veri, i soli  capaci di colmare di senso e gioia la fame del nostro cuore. Se ho causato lacrime, imparare a rendere felici coloro  che mi stanno accanto; se ho sottratto, donare a chi è nel bisogno; se ho ferito con la parola, riconciliare  nell’amore… Cristo, ricorda san Paolo, “Da ricco che era si fece povero per arricchire noi con la sua povertà” (2 Cor 8,9):  così siamo chiamati a fare anche noi, forti del fatto che il Signore “Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato  i ricchi a mani vuote” (cfr Lc 1,53). Egli, preghiamo nel salmo, “Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il  povero, per farlo sedere tra i prìncipi”. “Pubblicani e prostitute vi precederanno nel regno dei cieli” (cfr Mt 21,31). È a  questa ricchezza che dobbiamo educarci a guardare, ricorda il Signore, in quanto sono i legami di amicizia la vera  “ricchezza” con cui Dio ci ha circondati. E la prima e fondativa amicizia è quella con il Signore stesso, il solo che poi  ci rende capaci di divenire fratelli tutti.  

In fondo, la ricchezza più grande che abbiamo ricevuto è l’essere stati “misericordiati” da Dio; a noi ora far sì che  questo dono ricevuto gratuitamente si faccia in noi impegno responsabile verso gli altri, animati anche dalla certezza che “L’elemosina copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8). 

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