IN PRIMO PIANO

Quel fiume verso Gazadi Umberto Galimberti (in “la Repubblica” del 29 gennaio 2025)

Che cosa ci dice quel fiume di uomini, donne e bambini che, dal Sud della Striscia di Gaza, dove sono stati obbligati a trasferirsi per non morire sotto i bombardamenti iniziati al Nord, ora ritornano a casa nella loro terra a piedi, con i sacchi che contengono le loro povere cose rimaste, con i bambini sulle spalle, con i vecchi che non ce la fanno sistemati su carretti di fortuna?

Perché lo fanno, tutti insieme, con insistenza e perseveranza, senza esitazione né cedimenti, quando sanno che non troveranno le loro case, ma solo un cumulo di macerie, dove sarà impossibile persino identificare dove quelle case sorgevano e dove probabilmente troveranno sotto quelle macerie i corpi esanimi di quanti non sono riusciti a trasferirsi?

Coperta da quelle macerie non c’è una vera e propria strada che, percorsa, porti tutte quelle persone “a casa”. La strada la aprono loro camminando. Sono le loro impronte a tracciare la strada e niente più.

Quando volgono indietro lo sguardo vedono il sentiero che hanno tracciato, neppure sostenuti dalla speranza che non più la dovranno tornare a rifare. La speranza non li regge, ma li sostiene la nostalgia da assumere qui non come edulcorata malinconia, ma nel suo amaro e struggente significato etimologico reso dalla lingua greca che chiama “nostalgia” il dolore (álgos) del ritorno (nostos). E anche se la loro meta sarà un cumulo di macerie, quella è la loro terra, che sarà loro solo se a calpestarla saranno i loro piedi, e a ricostruirla le loro mani. Non vogliono ripetere l’esperienza del 1947 quando i britannici rinunciarono al loro mandato sulla Palestina e l’Assemblea delle Nazioni Unite votò un piano di ripartizione della Palestina che costrinse molti palestinesi a lasciare le loro terre. Parve a molti ebrei che finalmente fosse possibile realizzare il sogno biblico della “Terra promessa”, anche se non tutti gli ebrei erano d’accordo e, primo fra tutti, Sigmund Freud che, nel 1930, a Chaim Koffler, rappresentante viennese dell’associazione sionista “Keren Hajessod”, che cercava consensi e finanziamenti per gli insediamenti ebraici in Palestina, scrisse una lettera che solo nel 1954 fu pubblicata in ebraico e solo nel 1999 in inglese, in cui diceva: “ Non posso fare quello che Lei desidera. Il mio sobrio giudizio sul sionismo non me lo permette. Io non penso che la Palestina potrà mai diventare uno stato ebraico e che il mondo cristiano e il mondo islamico potranno mai essere disposti ad avere i loro luoghi sacri sotto il controllo ebraico.
Mi sarebbe parso più sensato fondare una patria ebraica in una terra meno gravata di storia. “

Quando penso al conflitto israelo-palestinese mi sovvengono le parole di Barbara Spinelli, là dove scrive nel piccolo libro “Ricordati che eri straniero” (ed. Qiqajon, Comunità di Bose) esperienza comune sia agli ebrei sia ai palestinesi:
“Non è civiltà né operazione di giustizia chiedere all’altro di compiere l’intero cammino che porta a me, da solo, in una logica che non è di cooperazione, ma di sottomissione. […] Perché non: ‘Veniamoci incontro’ anziché ‘Vienimi incontro’. Il che vuol dire facciamo un po’ di passi tutti e due, uno verso l’altro; stringiamo un patto, stabiliamo un terreno d’intesa, magari minimo, però comune”.

Related posts

ASL1 Dove prenotare una prestazione sanitaria? I centri unici di prenotazione in provincia di L’Aquila sono 29 -Tutti gli indirizzi

Redazione

Avezzano :RACCOLTA DIFFERENZIATA PER I CITTADINI NON RESIDENTI

amministratore

Per costruire la pace-Avezzano sabato 19 marzo ore 16.00

Redazione

Leave a Comment