Faustino Durante, storia di un sopravvissuto alla furia nazista
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di Alice Pagliaroli-articolo preso da AZ informa
Via Taranto 59 è dimora della storia. Nelle stanze modeste di un appartamento di Meta la famiglia Durante visse la gioia, l’amore e la tragedia. L’Olocausto entrò dalla porta e divenne un ospite sgradito. Attaccò gli ideali di un’educazione rigida impartita da papà Antonio e mamma Violetta. Bruno, Mario e Faustino pagarono con la vita il rispetto e la compassione. Bruno e Mario letteralmente.
Nel corso dei decenni la letteratura ha reso merito al grande sacrificio dei fratelli Durante, torturati e ammazzati per non aver reso alle SS naziste le informazioni che cercavano. Erano alla ricerca di Faustino, colpevole di aver coordinato un’operazione di vasta portata con i partigiani per portare sulla linea alleata i prigionieri messi in salvo tra i Simbruini laziali e il Montebello, di fronte alla montagna di Meta. Era stato venduto in cambio della vita da un ex soldato, Bruno Castellani, catturato sui monti dell’Arcinazzo. I soldati salirono a Meta per farlo prigioniero ma non lo trovarono. Catturarono Bruno e Mario e li trasportarono a Tagliacozzo. Li torturarono per giorni. Nonostante le sevizie non proferirono parola, per questo furono uccisi.

Faustino ha trascorso la sua vita nel segno del sacrificio fraterno di due uomini giusti. Sua figlia, Brunamaria, il cui nome non è certo casuale, ci parla di lui come di un uomo profondamente buono. “Ho vissuto in miei primi. anni di vita a casa dei miei nonni, assieme ai miei genitori. Mio padre non volle lasciarli da soli a reggere il peso della morte dei miei zii. Mi confidò che mia nonna Violetta, dopo la loro uccisione, chiuse per anni una loro foto in un cassetto del comò. La tiro fuori solo alla mia nascita. Tolse la fotografia e mise dentro una rosa bianca. C’è una cosa, più di tutto, che mi ha segnato; non ho mai visto mia nonna ridere. Forse un sorriso accennato ogni tanto, nulla di più”.

Chi può dire fino in fondo quale è stato il prezzo della furia nazista? E come si può comprendere il peso di un momento felice dopo aver conosciuto l’orrore? Le assenze strillano da lontano e non consentono risposta. Chi è rimasto in questa vita ha dovuto fare i conti con la paura, col senso di impotenza, coi rimorsi. Anche a Brunamaria è stato spiegato il significato della storia, della Shoah. E se gli altri bambini hanno potuto carpirne la condanna, lei ne ha conosciuto la disperazione. Solo col tempo ha imparato a leggere la ferita sul cuore di suo padre. Faustino scelse la carriera del medico legale. Divenne un riferimento nel suo campo e giocò un ruolo chiave in occasione di alcune tra le morti che hanno segnato la storia di questo Paese. Gli esami autoptici eseguiti sui corpi di Aldo Moro, Pierpaolo Pasolini e Giuseppe Pinelli, tra gli altri, gli valsero il merito di essere divenuto un’istituzione nel panorama medico nazionale. “Mio padre dedicò la sua vita ad ascoltare chi non aveva più la possibilità di parlare. Mi ha sempre spiegato che i morti hanno una voce. Ho sempre pensato che il destino crudele toccato ai suoi fratelli lo abbia condizionato al punto da voler rendere giustizia a chi non ne aveva avuto la possibilità in vita”, spiega sua figlia.
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C’è un episodio che rende l’idea della persona che è stata. Brunamaria aveva un’amica di nome Elena. Una ragazza pugliese appartenente ad una famiglia fedele all’antico patriarcato, costretta a sposare un uomo che non amava. Crebbe a tal punto il suo malcontento che suo padre la fece sottoporre ad elettroshock. Appurato quanto le stesse accadendo, Bruna chiese aiuto a suo padre, che non esitò. Partì senza preavviso per la Puglia e prese Elena con sé. La portò a casa e la “adottò”, rendendola un membro della famiglia. “La non accettazione dell’altro era un concetto che non poteva esistere. Mio padre non conobbe mai il rifiuto”. Aiutò moltissime persone gratuitamente, si fece artefice di una missione umana spinto da una forza irrefrenabile che era ben più grande di quella che, da giovanissimo, lo condusse sulle montagne al confine col Lazio a combattere i dogmi nazisti.

Brunamaria riuscì a definire quella forza quando conobbe Vittoria Dell’Ariccia, moglie di Bruno dell’Ariccia, sopravvissuto ad Auschwitz assieme a sua sorella, unici superstiti di una famiglia di 9 persone. Nonno Antonio, divenuto direttore scolastico in zona Roma Nord, ebbe modo di stringere un legame con Vittoria, all’epoca insegnante in uno dei suoi plessi scolastici. Li univa il rispetto reciproco, il dolore, il passato. Le due famiglie divennero compagne di vita e Brunamaria crebbe assieme ai figli della coppia. “Sapete quante volte ho sentito Bruno raccontare del campo di concentramento? Nessuna. Non ha mai detto una sola parola su quella drammatica esperienza. Aveva il senso di colpa dei sopravvissuti“.
Il senso di colpa dei sopravvissuti. Lo ha provato Antonio Durante per aver educato i figli alla ribellione, per avergli insegnato a condannare il fascismo, a non abbassare la testa, ad aiutare le vittime dell’odio e dell’ingiustizia. Lo ha provato Bruno, che in Polonia ha lasciato tutto tranne che la vita, che non ha fatto pace con la sua buona sorte, che ha aperto gli occhi ogni giorno pensando al mondo dietro la rete spinata. Lo ha provato Faustino, col pensiero dentro le stalle di Tagliacozzo, dove i fratelli hanno pagato con la vita la sua salvezza e l’amore ha trionfato sull’odio.