SABATO SANTO: il rischio della speranza
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Questa è l’icona bizantina del sabato santo: la “discesa agli inferi”
Di Gino Milano
Tutto è compiuto. E un grande silenzio è sceso, sigillato da quella pesante pietra sepolcrale che chiude la tomba in cui oggi si ricorda essere stato posto il corpo di un uomo chiamato Gesù.
Quella morte scrive la parola “fine” sulla sua storia personale, accomunata all’intera storia umana e del mondo.
Dov’è Dio? È questa la domanda del Sabato santo. Nell’ora della Croce non è intervenuto, così come non sembra potersi registrare alcun suo intervento nel momento della morte di ogni essere vivente. L’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano sulla vita, sul senso di vuoto che ci accompagna in una specie di terra di nessuno.
Se il giorno prima potevamo ancora guardare il trafitto sulla Croce, il Sabato santo è il giorno del nascondimento di Dio.
Sul finire dell’800 Nietzsche scriveva: “Dio è morto. E noi l’abbiamo ucciso!” La fede è smascherata nella sua inconsistenza, perché tutto è morto e sepolto; tutto è diventato angoscia e vergogna.
Cosa dicono, allora, i cristiani quando nel ‘Credo’ professano che Cristo “DISCESE AGLI INFERI” (quasi a voler addolcire la parola “INFERNO”)?
Sembrano, per un verso, attestare l’impotenza di quel Gesù nel quale ripongono ogni salvezza!
E, invece, c’è dell’altro. Essi dicono che Cristo è arrivato là dove non arriva alcun raggio di vita, dove regna l’abbandono totale e finale, dove non risuona alcuna parola di conforto…
Là è arrivata – portata da Lui – la voce di Dio, quella di un amore marcato dai segni della Passione per l’uomo: anche là è entrata la vita. Con tutte le sue prerogative di riscatto, liberazione, rivalsa, redenzione…
L’icona bizantina che vuole fotografarne gli effetti dipinge un Gesù trasfigurato di luce che “va a svegliare” l’umanità di ogni tempo, prendendo icasticamente per mano le figure di Adamo ( = il terrestre) ed Eva (= colei che dà vita), cioè ogni essere del mondo, e “svuotando” ciò che chiamiamo “inferno”.
“L’inferno sono gli altri”, affermava Jean-Paul Sartre, volendo indicare quello che ciascuno di noi può arrivare ad essere e a fare agli altri.
“L’inferno è qui sulla Terra”, sosteneva Schopenhauer – troppo drasticamente etichettato nel suo pessimismo – di fronte alle prime ondate dell’emergente trionfo liberale e scientista di un progresso autodichiaratosi in grado di assicurare felicità all’umanità e al mondo.
Abbiamo dovuto presto constatare gli esiti devastanti che il secolo XX avrebbe poi rivelato e che questo nostro tempo continua ad ostentare alle porte d’Europa, in Medio Oriente, in Congo, in Sudan, in Myanmar, in Afghanistan, in ….. altre decine di luoghi del pianeta.
Sì, nell’inferno dell’umanità straziata dalla guerra e da ogni morte violentemente inflitta, Cristo scende ancora a sollevare le braccia delle vittime innocenti e a riscattarne la vita e la dignità.
Il rischio del Sabato santo è lasciarsi sopraffare dal suo angosciante vuoto, dal suo silenzio di morte, e non saper accorrere a cercare i segni della vita, a sperare ancora nella vita, partecipando a svuotare l’inferno: nella preghiera (per chi è credente) e in un agire che sa farsi responsabile degli altri (e ciò vale per tutti, credenti e non credenti).
La preghiera di Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme
Signore, abbiamo saputo: oltre agli uccisi, non si contano le migliaia di dispersi
ed i feriti che cercano soccorso negli ospedali.
Questi sono occupati dai soldati, senza più medicine e macchinari
o addirittura ridotti in macerie.
Tutto è diventato cimitero di morte a Gaza, Signore.
Le case e le chiese, le moschee e le scuole.
Perfino gli ospedali, luoghi protetti dal diritto internazionale, rifugi di guarigione,
vengono bombardati e distrutti.
E pensare che, anche con il suo nome,
l’ospedale “AL-Shifa” dovrebbe comunicare il suo scopo:
“guarigione” per chi è malato e dev’essere soccorso.
Ma dopo averlo bombardato dal cielo, l’hanno assediato con i carri armati e,
invece di essere luogo di guarigione,
è diventato tomba di morte per pazienti, medici, infermieri e parenti.
Li vedi, Signore, ti stanno aspettando tutti, gli infelici e i malati,
riempiono gli ospedali e le strade come una volta quando camminavi
per questa Terra santa,
Vieni presto a soccorrerci, Signore.
Salvaci e al più presto agisci tu, o Dio.
Porgi la tua mano e ferma la morte e la guerra.