Uomo,dove sei? Domenica 16 aprile
Share0Sono passati i giorni di Pasqua. Siamo tutti rientrati nella routine quotidiana, se mai, in realtà, l’abbiamo lasciata.
Sembrano già lontani i momenti nei quali abbiamo rivissuto quel Gesù che lava i piedi e chiede di lasciarlo fare, segno della cura estrema che Dio ha verso ogni umano; e poi la passione e la morte di chi ha attraversato il male senza fuggire, senza evasioni dalla storia o attrazioni religiose. C’è stato il silenzio di una tomba ritrovata vuota, sulla quale è stato dato l’annuncio di resurrezione, vittoria sulla morte… Ora sembra ritornato tutto all’ordinarietà, a una normalità stringente e concreta…
Ebbene, che accade dopo quella Pasqua, quel “Passaggio”? Cosa resta di quella lunga e articolata vicenda di Gesù Cristo?
I suoi amici più stretti si sono rintanati nel suo ricordo, tra dubbio, disperazione, speranze, attese…
Il Vangelo di Domenica 16 aprile ci descrive il quadro della situazione e di come in essa si renda presente quel Gesù da loro conosciuto, nella corporeità di chi è entrato nella morte e ne è uscito, richiamato alla vita per sempre.
Chi, come Tommaso, è assente al primo appuntamento non può credere a una cosa del genere! Fino a quando non ne fa un’esperienza diretta (vengono alla mente le tante immagini pittoriche dell’episodio, tra le quali, impressionante, il capolavoro di Caravaggio, nella pinacoteca di Potsdam). Nel nostro linguaggio, di fronte a ciò che desta incredulità, sfiducia e sospetto, abbiamo adottato la frase proverbiale: “sono come san Tommaso, se non vedo non credo!”.
In realtà, il Vangelo non racconta l’insistenza incondizionata di quel discepolo a “mettere il dito nella ferita di Gesù”: la fede non può caratterizzarsi in un materialismo così esasperante nel pretendere la più lucida delle evidenze. La fede, piuttosto, produce lucide ed evidenti conseguenze, estremamente reali, “materialistiche”. Lo si attesta nella seconda lettura – che chi andrà domani a Messa potrà ascoltare – riguardante la vita dei primi cristiani (coloro che “senza aver visto” credono nel Cristo risorto, prassi di salvezza nel mondo): <<stavano insieme>>, cioè erano comunità. E <<chi aveva proprietà e sostanze ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno>>.
La prima generazione cristiana era “cattocomunista”, termine coniato per disprezzare l’indirizzo politico di una parte del cattolicesimo di fine secolo scorso – e ancora usato – alternativo ad un’altra forma di cattolicesimo “capitalistico”, sinteticamente ricompreso nel detto “Dio-Patria-Famiglia”, fermo alla proprietà privata “sacra e intangibile” e che considera ogni cosa riservata a sé, come “minoranza felice”, non importa se, in un pianeta Terra diventato agglomerato globale, esistono milioni di disperati (il cui volto somiglia così da vicino al Cristo sofferente e messo a morte, e che costituisce – qui ed ora – il Corpo reietto del Signore destinato alla resurrezione) impoveriti e costretti a cercare sopravvivenza e futuro nell’incertezza più estrema.
Il Mediterraneo – tra quelle carrette cariche di persone che stentano a stare a galla – è lo spazio per “mettere il dito” dentro una realtà che ci interpella ed è davanti a noi, per credere nella misericordia di Dio e renderla concreta nella storia, nella comunità umana.
Dopo trentantre anni (gli stessi tradizionalmente dati a Gesù) dalla prima legge in Italia sull’immigrazione, stiamo ancora parlando di emergenza, di situazioni straordinarie, di condizioni precarie, per le quali varare norme “speciali”, escludenti, respingenti, ributtandi: <<un uomo in mare… fatti suoi non nostri!>>
Tornando alla Pasqua: quali percorsi di resurrezione stiamo seguendo e costruendo?
Percorsi evangelici, non da cattocomunisti o cattocapitalisti.
Semplicemente evangelici, come quelli praticati dalle prime comunità cristiane che hanno creduto – oltre ogni utopia – nella fraternità e sororità umana.